Nella normativa giuridica italiana, per quanto riguarda le false o incomplete informazioni fornite all’Ispettorato del lavoro in materia di sicurezza, è necessario dimostrare il dolo, cioè l’intenzione di ingannare. L’onere della prova, ovvero il compito di dimostrare che l’imputato ha agito con dolo, spetta all’accusa.
La sentenza della Cassazione penale, sezione III, n. 39659 del 29 ottobre 2024, affronta il tema della responsabilità penale del direttore d’impresa in relazione alla fornitura di informazioni in materia di sicurezza sul lavoro all’ispettorato del lavoro.
Punti fondamentali della sentenza
Fatto
1. Il caso riguardava l’accusa rivolta al direttore di un’impresa per aver fornito informazioni false o incomplete all’ispettorato del lavoro, nell’ambito di un’indagine o verifica in materia di sicurezza sul lavoro.
2. Il Pubblico Ministero (PM) ha accusato il direttore di aver agito volontariamente, fornendo in modo deliberato informazioni incomplete o errate, con la consapevolezza di ostacolare l’attività ispettiva.
3. La difesa ha sostenuto che eventuali lacune informative erano imputabili a negligenza nel recuperare i dati, piuttosto che a una condotta dolosa.
Diritto
1. La Corte ha stabilito che, per configurare una responsabilità penale del direttore, non è sufficiente dimostrare un atteggiamento negligente, anche grave, nel fornire informazioni. È necessario accertare la volontarietà (dolo) della condotta, ossia l’intenzione di fornire dati falsi o incompleti.
2. La sentenza ha chiarito che una condotta colposa (come la semplice negligenza) non integra il reato ascritto, qualora l’accusa fosse specificamente orientata a dimostrare un comportamento doloso. Questo principio tutela l’imputato rispetto ad accuse formulate in modo specifico ma non provate.
3. Onere della prova del dolo: spetta al PM fornire elementi concreti che dimostrino l’intenzionalità della condotta, non essendo sufficiente il mero sospetto o la presenza di errori riconducibili a trascuratezza.
In conclusione la Corte ha sottolineato che, in materia penale, l’elemento soggettivo del reato deve essere dimostrato con chiarezza.
In questo caso, la negligenza, pur rilevante in un contesto civile o disciplinare, non è sufficiente a sostenere una condanna penale per condotte dolose, come l’accusa di aver volontariamente fornito informazioni false all’ispettorato del lavoro.