La Corte di Cassazione si è pronunciata sul diritto al compenso del progettista/direttore dei lavori nel caso in cui l’opera eseguita presenti vizi e difetti.
Il professionista ha negato le sue responsabilità e ha chiesto il pagamento delle somme residue.
Il Tribunale in primo grado aveva condannato l’impresa e il professionista al pagamento di una somma, pari quasi a 45mila euro, che sarebbe stata necessaria per sanare i vizi.
La Corte d’Appello ha ritenuto, che tutti i vizi riscontrati fossero riconducibili all’attività esecutiva e che gli stessi fossero ascrivibili oltre che all’impresa appaltatrice, anche al direttore dei lavori per non aver controllato, in tale veste, la puntuale esecuzione dell’opera. Nessuno dei vizi risultava invece riconducibile a vizi progettuali.
Accertata, dunque, la responsabilità del professionista, si imponeva una riduzione del corrispettivo spettante per l’attività di direzione dei lavori. Ed infatti la rideterminazione del compenso, ha osservato la Corte, ricostituisce il sinallagma contrattuale fra le prestazioni utilmente ed effettivamente rese ed il corrispettivo dovuto secondo le voci tariffarie esposte in parcella, nel senso che i corrispettivi, proprio alla luce delle omissioni denunciate dai committenti e risultate provate in corso di causa, dovevano essere ridotti sottraendo quelli relativi ad attività rese in violazione dell’obbligo di diligenza e non utilmente eseguite.
Viceversa dovevano essere riconosciuti integralmente i compensi riguardanti l’attività di progettazione, risultando adempiute le relative obbligazioni, ivi comprese quelle afferenti alla redazione del progetto esecutivo, la cui realizzazione, pur se contestata dagli appellanti, trovava, tuttavia, riscontro nella documentazione versata in atti, mentre era escluso, alla luce delle consulenze tecniche svolte nel corso del giudizio, che le eventuali carenze del progetto, lamentate dagli appellanti ma non evidenziate nelle relazioni tecniche, avessero dato luogo a (errori) progettuali forieri di danni, sicché, in definitiva, non sussistevano ragioni per negare al professionista il diritto al relativo compenso.
CONSIDERAZIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE – C. Cass. civ. 03/10/2022, n. 28614 (allegata alla presente) ha confermato tale pronuncia sulla base della considerazione, tra l’altro, che la valutazione delle risultanze delle prove, al pari della scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti.
Il compito della Corte di Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, solo controllare, a norma dell’art. 132, n. 4 c.p.c. e dell’art. 360 n. 4 c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria.
Nel caso di specie la Corte d’Appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, aveva ritenuto, indicando le ragioni di tale convincimento in modo nient’affatto apparente, perplesso o contraddittorio, che l’architetto aveva “utilmente ed effettivamente” reso, nell’interesse degli attori, prestazioni d’opera professionale sia quale progettista, che come direttore dei lavori.
Pertanto non si prestava, evidentemente, a censure in diritto la decisione della Corte d’Appello di accoglimento, sia pur in parte, della domanda proposta dal professionista, in quanto volta, appunto, al pagamento del (residuo) compenso corrispondentemente maturato, e cioè con l’esclusione del corrispettivo richiesto per attività che risultavano pretermesse o comunque rese violando gravemente l’obbligazione di diligenza tali da non tradursi in alcuna utilità per i committenti.